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Il Castello di Savignone

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view post Posted on 9/10/2009, 18:17
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Il Castello di Savignone

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Il castello di Savignone, attualmente in rovina, fu un tempo fortezza e residenza padronale nonché oggetto di battaglie ed assedi. È anche un luogo di leggende. Si trova incastrato su un roccione di puddinga (Conglomerato di Savignone) che sovrasta da un'altezza di 150 metri il comune di Savignone. Il suo recinto murario è rafforzato a meridione dalla torre o bastione semicircolare e difeso naturalmente dall'altro lato dal precipizio.

La torre collocata all'estremo meridionale, è massiccia, con una pianta a "ferro di cavallo", cioè rettilinea verso l'interno e circolare verso l'esterno delle mura. Parzialmente intatta nei primi piani all'esterno, dove si apre con un finestrone al piano superiore e una cannoniera al piano dei sotterranei.

Questa tipologia, adatta a sostenere l'assalto delle prime bocche da fuoco era affine a quella delle quattro torri che affiancavano il vicino castello di Montoggio, nella ristrutturazione di quest'ultimo da parte di Sinibaldo Fieschi. In quel caso si trattava di quattro torri angolari, dal perimetro esterno a pianta curvilinea. Erano modi ripresi dalle ultime novità, in Genova quelle delle fortezze della Briglia e di Castelletto, nel Quattrocento. All'interno questa torre conserva ancora un tratto di di scala e resti degli incavi dei camini ai piani primo e secondo.

Il castello è strutturato su due livelli in alzato, in base al terrapieno del bastione e agli ambienti sotterranei o seminterrati ad esso collegati, sfruttando il ripiano del roccioneo su cui si erge. In pianta al centro della cinta muraria sta il cortile, che corrispondeva alla piazza scoperta in cui si radunavano i militi. Ad esso si accede da una angusta scala che viene dai sotterranei.

Nella parte settentrionale del castello sono i resti dell'abitazione padronale, con finestroni ampi ad altezza elevata.

I sotterranei sono scavati nella puddinga e si articolano in un ampio stanzone che era riservato ai soldati, chiuso da due lati dal muraglione perimetrale, e in una cisterna per l'acqua.

Ultimi proprietari furono i marchesi Crosa di Vergagni, eredi dei Fieschi dal matrimonio di Nicolò e Carlotta Fieschi.

Sul lato sud è il torrione, strutturato su due livelli; a nord i resti dell'abitazione signorile, munita a grande altezza di piccole finestre; al centro, ciò che rimane di una piazzola per i soldati, raggiungibile attraverso una stretta scala proveniente dai sotterranei.

Oggi il castello resta ancora in rovina; vari interventi mirati sono stati abbozzati recentemente, ma un vero recupero resta ancora allo stato di proposta.

La data di costruzione del castello è usualmente collocata nel 1207, quando si cita la fondazione di esso da parte dei Tortonesi che vi tengono a castellano un certo Ogerio (1207-1210). Lo storico Gabotto nei suoi atti riporta numerosi giuramenti di fedeltà rilasciati dai Savignonesi al Comune di Tortona. Tuttavia secondo alcuni storici la sua fondazione è precedente, in base all'interpretazione di vari documenti: la bolla papale del pontefice Adriano IV del 1157, il Privilegium di Federico I (marzo 1176), in cui Savignone si troverebbe tra i castelli riconfermati al comune di Tortona.

La proprietà passa dal Comune di Tortona a una famiglia genovese, i Marabotto, passaggio citato dal Giscardi. Si tratta di una variazione d'ambito, da Tortona a Genova. Infatti i Marabotto erano una famiglia genovese che, originaria del sobborgo di Bavari tra la valle Sturla e la val Bisagno, aveva dato numerosi personaggi in vista al Comune: tre consoli (Guglielmo nel 1106, Ruggiero nel 1167 e 1169 all'epoca della costruzione della Porta Soprana, Nicolò nel 1195 e 1207), un giudice (1120), vari comandanti (Ruggero a capo di galee e fanti nel 1167 e 1169, Federico capitano con altri di nove galee contro i ghibellini nel 1330) e, ambasciatori a Roma, Lucca, Firenze all'epoca delle guerre con Pisa per la contesa di Lerici (1256).

Lo stemma dei Marabotto, nella codificazione araldica, viene dato dal Crollalanza come:

« d'oro, all'aquila di rosso, sormontata di tre tortelli dello stesso, ordinati in fascia »


pur esistendo una contrastante definizione data dal Fransoni:

« di verde all'aquila rossa e sormontata da tre tortelle dello stesso, ordinate in fascia. »

Marabotto di Marabotto nel gennaio 1157 sottomettendosi agli ordini dei consoli di Genova si spoglia di tutti i suoi domini e vende il castello di Savignone, con relativi giurisdizione, signoria, pedaggio, a Guglielmo Spinola, vendita annotata tra i documenti raccolti da Ferretto. Successivi atti del 22 e 23 giugno 1222 annullano tale vendita; l'erede di Marabotto, Martino di Marabotto, vende allora ancora una volta il castello il 29 giugno 1236 a Folco di Castello.

Lo recuperava ancora una volta Guglielmo Spinola. Ma durante le lotte tra le fazioni Guglielmo divenne fuoruscito. Mandò allora il figlio con due fidi ambasciatori presso l'imperatore Federico II per rendergli omaggio e convincerlo ad attaccare Genova. Pertanto in risposta il Podestà di Genova, Corrado di Concesso, lo attaccava nel 1242 con le milizie della Repubblica di Genova in tutti i suoi castelli, tra i quali erano quelli di Savignone e Costapelata (frazione di Santo Stefano d'Aveto).

Da Celesia sappiamo che Concesso occupava senza sforzi Savignone; e dal più accurato annalista Maestro Bartolomeo che al Podestà venne consegnato senza combattere il castello di Ronco Scrivia nel marzo 1242, e solo dopo con una trattativa coi castellani di Savignone e Costapelata, il 22 aprile, otteneva prendendone possesso di persona i due castelli, segno che questi avevano opposto un'iniziale resistenza prima di accordarsi.

Pochi anni dopo il castello passa ai Fieschi.

Allontanato Guglielmo Spinola, i Visconti di Savignone giurano fedeltà a Genova, il 7 maggio 1242. Pochi anni dopo avviene il passaggio ai Fieschi, che possiedono il castello per un periodo più lungo rispetto a tutte le altre casate.

Essi vengono in possesso di castello e borgo di Savignone. Il secondo era composto da case che attorniavano la piazza centrale; presso di esso era un cenobio monastico, dipendente dal vescovo di Lodi e non da quello di Tortona che in questo periodo passa in secondo piano. La contesa tra i vescovi di Lodi e Tortona risaliva alla nomina di papa Martino I del giugno 883 a Lodi, ribatiga da Olrico, vescovo di Milano, nel dicembre 1125, in base alla quale il vescovo di Lodi, Opizzone, si era recato personalmente nel monastero. Un altro vescovo milanese, Robaldo – dato riferito dalle raccolte di Gabotto e di Legè – riconfermava tale proprietà contro le richieste del vescovo di Tortona. Il complesso era provvisto di una corte sulla quale si affacciavano le celle dei monaci, e che poteva accogliere 30 persone e 40 cavalli. Il convento era diretto da un priore per la chiesa, e per l'ospedale da un altro prelato, che risulta essere in base al Ferreto, da un atto del 16 novembre 1191, un certo Tedisio.

Vicino al borgo era la cappelletta di san Rocco. A questi insediamenti si aggiungevano le ville sparse, un altro ospedale in Vallecalda sul passaggio della via per l'Oltregiogo passante per i feudi imperiali, che valicava l'Appennino per l'attuale passo della Madonna della Vittoria.

Per questa collocazione, a chiusura della via per l'Oltregiogo genovese, che passava attraverso i Feudi Imperiali, Savignone ebbe nei secoli XII-XIII un ruolo strategico, e molti suoi paesani si trasferirono a Genova attivando vari commerci. Un castellano di Savignone ad esempio facendo carriera, nel 1233 era nominato ambasciatore in Siria dai Consoli del Comune genovese nelle trattative con Enrico I del Regno di Cipro, per un patto di alleanza e reciproca difesa.

I Fieschi si trovano padroni di Savignone di sicuro nel 1253. La data è precisata dai documenti raccolti dal Belgrano, stando ai quali il conte Giacomo Fieschi, conte di Lavagna e figlio di Obizzo Fieschi, nonché capostipite del ramo di Savignone, è proprietario del castello e degli annessi territori. Giacomo Fieschi era un personaggio in vista: era stato nel 1244 uomo della scorta di papa Innocenzo IV (papa della stessa famiglia Fieschi) a Civitavecchia. Nel 1248 aveva acquistato beni in Sestri Levante e Lavagna, entro il 1253 era stato consigliere della repubblica genovese. La conferma che fosse definitivamente signore di Savignone è data dal documento che lo vede il 6 ottobre 1256 redigere un contratto con Runfredo de Sena, relativo ad opere del castello savignonese. E forse il possesso risaliva a prima, dato che lo stesso impresario aveva in precedenza stipulato un contratto col padre di Giacomo, Obizzo Fieschi.

Nel castello fliscano è fama trovasse rifugio Isabella Fieschi, donna nota come bellissima, dopo la sua fuga da Milano. Isabella era andata in moglie a Luchino Visconti, dal quale era poi fuggita. Dopo la morte di Luchino, si disse per avvelenamento cui Isabella non doveva essere estranea, per sfuggire ai cugini Bernabò, Galeazzo e Matteo, abbandonò Milano dichiarando che il di lei figlio Luchinello era figlio del cugino Galeazzo VIsconti anziché del marito Luchino, ma questo probabilmente per sfuggire alla contesa ereditaria milanese. Isabella, detta Fosca, era figlia di Carlo Fieschi, nipote del pontefice Adriano V. Stando alla genealogia di Federici, infatti il di lei padre Carlo Fieschi era fratello del pontefice Ottobono Fieschi, entrambi figli di Nicolò di Tedisio, capostipite del ramo dei Fieschi di Torriglia.

I Fieschi vendono il castello di Savignone nel 1361 ad Andronico Boccanegra.

Da allora il castello passò più volte di mano. Andronico Boccanegra lo vende nel 1392 a Antoniotto Adorno; da questi viene ceduto alla Repubblica di Genova che lo tiene dal 1429 al 1432.

Il ramo dei Fieschi detto di Savignone in questo periodo condivide le sorti con il ramo dei Fieschi di Torriglia, e sotto il dominio su Genova dei Visconti deve rifugiarsi a Roma. Solo dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti nel 1476 i Fieschi potranno riemergere.

Nel 1478 il castello torna in maniera definitiva tra i domini dei Fieschi, dai quali in ultimo, ma per via ereditaria, passerà alla metà dell'Ottocento ai Crosa di Vergagni.

La morte di Galeazzo Maria Sforza, nel 1476, lascia via libera alle famiglie dal duca vessate. Matteo Fieschi, figlio di Daniello, del ramo di Savignone, rientra nel marzo 1477 in Genova al comando delle milizie fliscane, assieme a Giovanni Giorgio del ramo dei Fieschi di Torriglia, con il quale ne coincide il comando. Entrano in Genova al grido di Libertà. Torna da Roma anche Obietto Fieschi, e assieme si battono per la cacciata da Genova degli Sforza.

Nel 1478 i Fieschi riconquistano i loro castelli. Lo Sforza tenta per impedirglielo un intervento con un esercito di 16.000 fanti, ma Giovanni Luigi Fieschi lo costringe alla ritirata; i soldati del duca si rifugiano allora nei castelli di Montoggio e di Savignone. I Fieschi dopo un breve assedio prendono Savignone e catturano i militi qui assediati. Li scambiano in riscatto con Obietto Fieschi, che nel frattempo a Milano era stato coinvolto in una congiura contro la vedova di Galeazzo, la duchessa Bona.

Dal 1478 in poi pertanto Savignone va a Ettore Fieschi, dal quale passa a Matteo di questi figlio. Matteo è personaggio in vista in Genova, dove ricopre vari incarichi, nel Governo è in varie occasioni Anziano, fu inoltre uno degli istitutori del Monte di Pietà nel 1483, appena istituito dal Beato Angelo da Chivasso.

Matteo FIeschi muore senza eredi maschi, e Savignone passa al fratello Giacomo, unico superstite tra i fratelli del defunto. Giacomo Fieschi era pure un personaggio in vista nella conduzione della cosa pubblica genovese. Fu tra i riformatori del 1465, anno dell'abolizione delle fazioni guelfa e ghibellina, nonché ambasciatore presso il pontefice, il Duca di Milano, e fu anche commissario dell'Oltregiogo.

Savignone, nel disastro della famiglia Fieschi seguito alla congiura di Gian Luigi ai danni di Andrea Doria, si salva. Al contrario di Montoggio che è distrutto ed altri castelli che sono ceduti ai Doria dall'imperatore Carlo V, esso rimane ai Fieschi. Sotto questa famiglia rimane sino alla soppressione dei Feudi Imperiali imposta dalla Repubblica Ligure nel 1798.

Questo accade per non aver preso parte alla congiura il conte Ettore Fieschi, del ramo di Savignone, e la sua non partecipazione venne riconosciuta da Carlo V e premiata con la donazione di Savignone. Nei momenti del tentativo di Gian Luigi, quando non si sapeva ancora della morte in Darsena dell'artefice dell'insurrezione, Ettore Fieschi era rimasto con il Senato genovese, e assieme ad Agostino Lomellino, al Giustiniani, ad Ambrogio Spinola, al Balbiani, aveva avviato i preliminari di trattativa per stornare i congiurati dal loro intento ultimo.

La situazione si precisa nel 1564, quando Savignone viene smembrato di un ottavo, la parte che sarebbe dovuta andare al defunto ribelle Gian Luigi Fieschi, ed eretta in feudo. I Fieschi vi restano e continuano ad avere le prerogative di nominare l'amministrazione della giustizia, il podestà, i vari magistrati, e di emanare le leggi e gli statuti.

Il castello venne ancora coinvolto nell'invasione della Repubblica di Genova tentata nel 1625 dal Duca di Savoia.

Carlo Emanuele I aveva mandato suo figlio, Vittorio Amedeo I di Savoia, ad attaccare le Riviere, e il figlio illegittimo Carlo Felice a condurre le truppe che giungevano dall'Oltregiogo. Questo secondo contingente era calato dalla Valle del Lemme, aveva conquistato Gavi e Voltaggio e quindi aveva deviato su Savignone, che aveva facilmente preso anche grazie alla collaborazione con le numerose bande di briganti qui raccolti.

Da Savignone preparava l'assalto a Genova, intendendo entrare in val Polcevera attraverso la Vallecalda, da San Bartolomeo e scendendo per la valle del Secca. Ma i Polceveraschi avevano cominciato ad attaccare nelle montagne le truppe sabaudo piemontesi. Questi eventi si risolsero con la sconfitta dei piemontesi nella battaglia sul valico tra la Vallecalda e la valle di Montanesi, per il quale evento venne eretto sul passo il santuario della Vittoria.

I contadini arrivarono a fare una preda a danno di queste di 500 buoi, avevano persino assediato il castello di Savignone nel quale si asserragliava infine lo sconfitto Carlo Felice. Questi venne circondato, e il duca padre, Carlo Emanuele di Savoia, venne a salvarlo con 500 armati, che raggiunsero con una marcia forzata Savignone e presero un'ultima volta il castello, potendo riportare Carlo Felice in Piemonte.

L'eredità savignonese di Ettore Fieschi giungeva ai pronipoti Innocenzo e Gerolamo Fieschi, che lo dividevano tra loro nel 1678 in due parti. Ad Innocenzo spettava la parte di Croce e a Gerolamo quella di Savignone con il castello.

A Gerolamo succedeva nel 1680 il conte Urbano Fieschi, che riuniva sotto il suo dominio anche le località di Vallecalda, Casella, Avosso, tutta la Val Brevenna con Frassinello, con Caserza, Frassineto, Ternano, Clavarezza, Vaccarezza, Chiappe, Senarega, Cerviasca, Tonno, Nenno, Casareggio, Carsi, Mereta, Agneto, Gabbie, Ponte, Prelo, ed ancora Monte Maggio e Sorrivi.

Tuttavia la zona era in decadenza. La Val Brevenna veniva ad essere quell'area arretrata dalla quale nell'Ottocento iniziava l'emigrazione, e il castello di Savignone, persa la funzione residenziale già nel XV secolo, iniziava il suo declino. Era il destino comune dei feudi minori dell'Oltregiogo, che scomparvero con la soppressione dei Feudi Imperiali dell'epoca napoleonica.

Il castello di Savignone divenne inutile, spesso abbandonato, sicché già dal Seicento si trovò ad essere più volte rifugio di bravi o banditi che fossero. Divenne ancora prigione, ed infine l'abbandono fu totale, ed esso decadde sino allo stato di rudere.

RIASSUNTO ED APPROFONDIMENTI

Il Castello di Savignone fu proprietà del casato dei Conti Fieschi, cui appartennero bellissime dame spesso protagoniste di forti storie d'amore. Sono sempre descritte consorti di un Visconti della grande famiglia milanese, e ciò rende probabile che la storia sia in realtà una sola, con qualche variante sui fatti e qualche confusione di nomi.

Nel primo caso si parla di una certa Fosca dei Fieschi, moglie infedele appunto di un Visconti e sentimentalmente legata ad un giovane, cui la donna consentiva l'accesso al Castello di Savignone porgendogli una corda da una finestra in alto.
Come in una favola, l'amante la raccoglieva e scalava la parete raggiungendo la sua bella.
Il marito tradito scatenò dei sicari però, alla ricerca dell'uomo.

Questo d'improvviso scomparve e, solo dopo un po', fu ritrovato morto sul fondo di un burrone, insieme ad un grosso serpente. La vendetta dei Visconti si era compiuta e, di questa, era stato lasciato il segno: appunto il biscione, che è al centro del blasone degli antichi signori di Milano.

Si rivede ancora oggi il serpente, stavolta in forma spettrale. Di notte, al Castello, mentre due fiammelle si agitano e si rincorrono, un serpente interviene e le separa.

La leggenda, quasi si ripete con una storia molto simile, in cui lei ha il nome di Isabella Fieschi e il marito Luchino Visconti.
Anche qui c'è il tradimento, con la vendetta del marito e il biscione.


L'immaginazione popolare non è, però, suscitata sempre e soltanto dalla vita delle corti signorili e dei castelli. Le zone di montagna e le terre franose vedono forze del male anche nel suolo e nel sottosuolo, intesi come fonti di sciagure.

Nella zona delle Caselline apparirebbe un intero paese fantasma: gli spettri delle case che una frana inghiottì tre secoli fa.

Ogni cinquant'anni il paese tornerebbe a vivere richiamando la curiosità di passanti che, visitandolo, entrerebbero in un perverso vortice del tempo, senza ritorno.

Con tutti questi eterogenei elementi folklorici, è naturale che qualcuno parli di processioni di fantasmi: frati, baroni, contadini, viandanti...

Dagli amori proibiti delle cortigiane e dai disastri naturali si passa ad un tema importante del folklore europeo, lo stesso che è alle origini della leggenda di Faust. L'uomo che vende l'anima al diavolo.

In Liguria, la storia è presente negli stessi termini. Qui protagonista è un monaco, costretto a dannazione eterna per il suo folle contratto e vagante nei pressi di un vecchio Mulino a Rossiglione, in forma di fantasma spaventevole.



Il motivo del diavolo è diversamente presente in altre regioni. In altre zone d'Italia (ad esempio in Sardegna e in Puglia), il diavolo viene descritto come implacabile guardiano di tesori, che impedisce l'accesso a chi tenta di forzare il nascondiglio.

La leggenda pugliese vede anche il Maligno intento a duellare con S. Michele, che lo sconfigge. Quest'ultima tradizione è tipica dei monti del Gargano, dove è molto presente il culto dell'Arcangelo.

Molto diverso è il diavolo che compra l'anima. Si trova in Liguria e si ritrova in leggende del Piemonte.

Edited by Valene - 13/8/2017, 18:09
 
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